Io ti salverò

Una settimana fa, venerdì scorso, rientro a casa morta di stanchezza e mi ritrovo in mezzo all’Inferno: insulti che volano, urla, capricci dei piccoli e capricci dei grandi, il delirio. La furia congiunta dei due hikikomori dopo una settimana di anarchia, pasti saltati e reciproco disprezzo. Il sabato successivo ho alzato il telefono e chiamato il titolare dell’azienda dove lavoro: o mi prendevo congedo parentale, o iniziavo a lavorare da casa. Per fortuna è stata accordata la seconda opzione.
Non era una concessione così scontata, visto che settimane prima il ns tecnico informatico aveva dichiarato a tutti: non siamo strutturati per poter permettere il tele-lavoro. Io avevo preso atto, ma nelle settimane successive avevo assistito alle defezioni: prima è scomparsa tizia, dopo qualche giorno anche caia ha fatto i bagagli, alla faccia del non essere strutturati. Quindi l’azienda non era strutturata ma per alcuni si, e alla fine ho avanzato anche io la mia richiesta.
Ed ora, eccomi qui. Frastornata dal cambiamento, e in fase organizzativa. Ad esempio la mattina devo impostare il pranzo, così quando stacco nel giro di un’ora riusciamo a mangiare e costringo il pupo a fare due passi con me. Oppure il pane e latte freschi posso prenderli dal fornaio qua vicino, che apre alle 7 – e con l’occasione prendo una ciambella per la creatura. Piccoli aggiustamenti da massaia in smart working, che fa spesa solo al sabato in modo che fino al pranzo del venerdì successivo ce ne sia per tutti, e che per allora il frigo risulti semi-vuoto e pronto per il carico successivo.
Nel frattempo, mentre lavoro e passo ore al telefono in sala da stiro, controllo il pupo. Gli preparo i compiti da fare a inizio mattina, e me li faccio mostrare e li correggo mano mano che li svolge. Gli preparo la merenda. Lo riprendo se so che in quel momento dovrebbe fare matematica, eppure sento le molle del suo letto rimbalzare allegre. Passo la giornata a urlargli, dalla sala da stiro a camera sua (che per fortuna è attigua) cose come:
Cosa stai facendo?
Non dovresti fare questo?
Guarda che ti manca ancora quello, inizia.
Quand’è che finisci la pausa?
Hai finito la pausa, ora fa quell’altro.
In pausa pranzo lo costringo a fare due passi con me, e di nuovo la sera – settimana scorsa aveva perfino smesso di scendere in cortile a giocare. E faccio in modo che mangi sia a pranzo che a cena. Fra tutti questi sforzi e il fatto che le maestre, à la bonne heure!, chiedono di vedere i compiti svolti dai ragazzi, sono certa che gli scatti d’ira e il suo delirio anarchico presto si placheranno. Andrà tutto bene!