Oggi secondo tracciato, Elio.
E’ che tu non vedi quel che vedo io. L’ambulatorio di ginecologia sembra un piccolo magazzino da cui han tolto secchi e scope, per metterci qualche attrezzatura medica e delle sedie di plastica; le stanze sono piccole, zero areate, calde; un’ostetrica da sola eroicamente smista i flussi di donne più o meno incinte, risponde al telefono, compila carte, insegue il ginecologo di turno, esegue i tracciati ed in soldoni tiene in piedi la baracca – non a caso le sue ferie vengono sempre annunciate con largo anticipo in grandi avvisi, e si presume le sia proibito ammalarsi. Infine le poltrone per i tracciati, scomode, odorano di treno – scompartimento di treno locale, per l’esattezza.
Poi c’è il rito del cibo. Arriviamo, mi fissano i sensori e tanto per cambiare tu stai dormendo; allora mi tocca nutrirmi a forza, in quella posizione semi-stesa che son brava a non soffocarmi, sperando che gli zuccheri in circolo ti facciano risvegliare – altrimenti l’ostetrica non ci lascia più andare a casa.
Insomma, creatura, vedi di deciderti a nascere perché di ‘sta tiritera son già stufa marcia.