Venuto al mondo

Finalmente ce l’hai fatta. Il 25 mattina sono iniziate le contrazioni, quelle da manuale brevi ed irregolari. Ora del pomeriggio ero in divano a respirare rumorosamente, mentre un papà paziente teneva il conto dell’intervallo fra una contrazione e l’altra. Arrivati ai 5 minuti partiamo, saranno le 18.
Fra viaggio in auto e scossoni della sedia a rotelle per arrivare in Ostetricia (le povere sedie a rotelle del ’15-’18, unica dotazione del Pronto Soccorso abilmente manovrate da forzuto infermiere che ne correggeva i continui sbandamenti), quando mi visitano son già dilatata di 8 cm – valeva proprio la pena di pagarsi un buon corso pre-parto privato e farsi un quieto travaglio a casa! Ora che arrivo in Sala Travaglio e mi rompono il sacco, son praticamente già pronta per il parto.
Ma che succede? Spingi e spingi, il panda è refrattario a farsi vedere. Tentativi sul letto, sul water, accovacciata a terra, infine sulla poltrona della Sala Parto, ma niente da fare. Aumenta il numero di ostetriche che mi circonda, ad un certo punto sono in tre – una manovra la pancia, le altre due la figa, mio marito sempre coraggiosamente al mio fianco vede di tutto e sopporta stoicamente. Io spingo quanto posso, ormai stremata poiché digiuna dal mattino – l’unico tentativo di spuntino vomitato ore prima, l’ultimo cucchiaino di miele ormai un pallido ricordo. Di darmi altro miele non se ne parla, le ostetriche han già la faccia scura da preparativi pre-operatori: invece di uscire di nuca, il panda ha deciso di uscire con la fronte quindi quando spingo viene avanti ed è lì lì per uscire, ma appena la spinta finisce torna subito indietro.
Infine l’intervento del ginecologo: tana libera tutti, non resta che il cesareo – quando sei senza forze perfino la prospettiva d’essere squartate suona come una dolce promessa.
La parte chirurgica è una macchina da guerra: compare anestesista antipaticissmo (ma bravo), personaggi strani, bisogna firmare cose e rispondere a domande mentre continuano le contrazioni e tremi dalla testa ai piedi, ma in breve tempo ti ritrovi seduta fra le materne braccia di una tipa (mai capito chi fosse), mentre l’anestesista ti prende le misure delle vertebre per farti l’anestesia sacrale. Fatta la puntura, il formicolio ai piedi è immediato (wunderbar!) ed eccoci sdraite sul lettino operatorio, non senti più le gambe ma senti chiaramente il bisturi che incide il taglio, i divaricatori, poi dopo breve ti presentano un esserino sanguinolento ed agitino:”Ecco suo figlio” (ore 21,37 recita il documento ospedaliero). A quel punto perfino l’anestesista pare simpatico.
Il resto è routine: tre personagge che sembran le Parche ti ricuciono in velocità chiacchierando del più e del meno, in breve eccoci tornati in Sala Travaglio con un bimbo infagottato fra le braccia, io e papà felici e quasi increduli – visti i trascorsi, fino alla fine non ho mai dato per scontato che davvero stavolta potesse andare tutto bene. Il degno figlio di suo padre ha già fame e si attacca alla tetta come da manuale, ciucciando in modo gagliardo.
Solo alla dimissione scopriremo l’esilarante definizione medica di tutto questo trambusto: “parto cesareo a termine gravidanza per mancato impegno parte presentata.”