Diario di bordo: la mamma del papero

Sono bastati sei mesi scarsi di convivenza con la tenera, morbida, pieduta ed occhiuta creatura (che piedini!, che occhi!), ed eccoci completamente in suo potere. Tremo già all’idea di Febbraio, quando dovrò abituarlo a stare dai nonni per ben sei ore al giorno (6 ore SEI !) in vista del mio rientro al lavoro; lui sopravviverà senz’altro, tanto più perché i nonni sono dei bravi nonni, ma io che farò senza il mio fagottino ginnico? Capisco bene Anna Chiara che, arrivata al terzo figlio, se lo coccola e se lo addormenta in braccio senza alcuna fretta di staccarselo di dosso, ben conscia che “Poi crescono”.
Per il resto, la botta post-parto è arrivata tutta nell’ultimo mese: mal di schiena persistente, peregrinazioni fra tutti i letti di casa in attesa del materasso nuovo, adattamento al materasso nuovo e lento emergere dei grumi di dolore accumulati, in questi mesi, lungo la colonna vertebrale; pensieri cupi circa il mio futuro lavorativo, combattendo con la voglia di sentirmi fortunata perché un lavoro ce l’ho, e la triste coscienza che del lavoro che ho me ne frega una cippalippa, visto che nulla c’entra coi miei studi e con l’esperienza lavorativa acquisita in precedenza; scontro quasi quotidiano con la testa ormai annacquata da questi molti mesi di vita in casa, in compagnia del pupattolo, con pochissimo tempo per leggere e tenere allenata la memoria. Ci sono poi stati gli immancabili screzi col marito circa la divisione dei compiti in casa; screzi miracolosamente risolti facendo dell’auto-monitoraggio – è bastato l’esistenza di un file Excel per spronare babbo-panda e renderlo più presente, attivo e responsabile.
Restano i dubbi (mene?) principali, tipo: c’è un qualcosa nella mia vita da topolino nel labirinto che potrà render fiero mio figlio? O non gli sto dando forse un esempio di poca fantasia, adattandomi a quel che c’è per poter avere una casa e potergli comprare una vita? O son forse – e invece – presuntuosa nello sperare una vita un po’ diversa, che vada oltre al labirinto? Certo che, col carattere mio e di mio marito, non potremo mai avere un bel lavoro-paraculo con 8 ore al giorno, stipendio medio-alto, poche preoccupazioni e mente ancora scattante e leggera – pronta per iniziare a vivere – quando alle 5 si timbra il cartellino… perciò o continueremo a fare i topolini nel labirinto, cercando di cavarcela con quel che c’è, o dovremo dare un bel colpo di coda tipo “Trasferiamoci a Taiwan!”. In ogni caso un figlio in casa cambia molto l’ottica di vita: una volta potevi essere il solito cazzone, adesso vorresti essere qualcosa di più, nella vana speranza che lui, un giorno, possa addirittura essere fiero di te.