Visioni dal finestrino

Panda on the trainE’ uno di quei periodi così, quando la tua vita sembra fatta di tante scene viste dal finestrino di un treno, inquadrature che sfuggono una dopo l’altra: succede di tutto, ma non fai in tempo a fissare i ricordi che stai già passando ad altro. Provo a buttar giù qualcuna di queste scene, per non dimenticare – che è poi il senso di questo blog.
Il babbo ha ripreso le sue assenze per lavoro. A volte viaggi in giornata, che riesci a vederlo dieci minuti la sera prima di strisciare a letto; altre volte viaggi di vari giorni, in viva voce sul cellulare la mattina a colazione, e poi la sera dopo cena mentre col pupo guardiamo la candela accesa nel salotto oscurato. Questa della candela è venuta fuori a me per caso, ma istigata dal pupo ed è diventata il nostro rito obbligatorio: le sere che manca papà si accende una candela, fosse anche per soli due minuti, mentre lo chiamiamo al telefono. Poi il pupo spegne la cendela, intinge felice il dito nella cera calda e va a dormire più sereno.
Mamma da parte sua, visto che le avanzava tempo (ah ah ah ah ah!), durante l’inverno ha iniziato a tradurre un romanzo cinese di Kungfu, così per ghiribizzo e senza un fine specifico nell’immediato, se non la voglia di condividere con chi mi circonda qualcosa che amo molto. Un romanzo in quattro volumi da 1200 pagine, dimensioni da Fratelli Karamazov, che a volerlo tradurre tutto finirò a 70 anni, credo. Ma son dettagli: il solo avere qualcosa sul quale spremermi le meningi, sia in cinese che in italiano, è stato uno straordinario toccasana in questi mesi di puro delirio lavorativo. Che il delirio continua, quindi quattro tomi fanno anche comodo – ce ne sarà bisogno.
Per quanto riguarda appunto il lavoro, la situazione è cambiata così tante volte in pochi mesi, ed è tuttora così traballante, che mi son giurata di scriverne con dovizia di dettagli solo quando si saranno assestate le cose. O solo quando avrò trovato un altro lavoro, e potrò scriverne con la serenità di chi non ci sarà.
Infine il pupo. Ormai un ometto, continuiamo la guerra quotidiana col suo dito in bocca. Durante Natale ho provato a spalmargli sul dito, di notte finché dormiva, un apposito preparato puteolento; il gioco ha retto perché da mesi gli dicevo: guarda che quando diventi grande il gusto cambia, e non sarà più buono. Ma è stata un’illusione durata pochi giorni, ha presto scoperto che la notte a forza di ciucciare il saporaccio passa. Se non altro si è abiutato a non ciucciare il dito di giorno, quando se gli scappa in bocca e lo rimproveri – o lo minacci – rinuncia volontariamente. Vista la cocciutaggine ora stiamo tentando con la guerra psicologica: la bici con i pedali la usano solo i bambini grandi, a Gardaland possono entrare solo i bambini grandi, e i bambini grandi non ciucciano il dito quando dormono. In qualche modo si dovrà fare, o quella Signorina Rottermeier che è la sua pediatra segherà le gambe sia a me che a lui!
Nel frattempo in disegno restiamo fermi al girino, musica e ginnastica gli piacciono da matti, e quasi ogni giorno c’è qualche novità dal mondo violento: una forchettata sulla guancia, un graffio vicino all’occhio, un morso, un non-lo-sapremo-mai. Tre bambini violenti in classe: col più grosso ormai alterna l’amore e l’odio – almeno si stanno scornando fra titani, segno che a suo modo un dialogo è in corso – gli altri li ignora o li sopporta poco, ormai stufo di segnalarne le malefatte a ‘ste povere maestre, che senza gabbiette a disposizione fanno fatica a tenerea bada la masnada di vittime e carnefici. Ma dopo le scene a colazione ed i piagniucolii per scendere dalla macchina, alla fine mi va a scuola saltellando, e quando entra lo conoscono tutti, lo salutano anche i bambini delle altre classi perciò ne deduco che gli piace andare a scuola, e che ci sta bene.
Poi se deve mettersi le scarpe da solo qua a casa, ulula strepita si dispera come se tu lo stessi squartando; ma questa è un’altra cosa.
A casa piuttosto approfondisce tematiche a lui care: i mai tramontati lavori agricoli, ed i vulcani sua nuova passione. Ormai conosciamo a memoria la puntata di Ulisse “La furia dei vulcani”: è come se il Krakatoa fosse un posto qua vicino, e le nubi piroclastiche un fenomeno che puoi vedere dalla finestra. Poi quando sabato sera provi a fargli vedere un lungometraggio animato, o il primo film di Harry Potter, parte una sirena di pianti ed urla che se passa un’assistente sociale ci toglie la creatura, immaginando chissà quali irripetibili sevizie; perché tutto ciò che non è Trattorino Rosso o un documentario – sui mietitrebbia, sui vulcani, sugli ingranaggi/riduttori/orologi – è IL MALE.