Nostalgia per i demogorgoni

Dopo quattro settimane di convalescenza, il rientro al lavoro.
Il mio rientro dall’ospedale è coinciso con l’uscita dell’ultimo giallo della Galbraith: un libro provvidenzialmente lungo, che fra un pisolo e l’altro ho impiegato due settimane a leggere. Molto meglio di una anestesia, e difatti malgrado il drenaggio sempre appresso non ho mai sentito alcun dolore fisico.
Una volta tolto il drenaggio, il corpo ha iniziato a farsi sentire e l’incanto è finito. Il dolore però aiuta a capire con che forze e in che modo riprendere una vita normale, quindi pur continuando ad avere i genitori per casa a dare una enorme mano – spesa, pasti, lavaggio piatti, gestione biancheria – ho ripreso a vivere. A quel punto il libro giallo era finito, e ho iniziato un altro tipo di anestetico: ogni giorno una puntata di Stranger Things, prima e seconda serie. Io che mi lascio impressionare da tutto ho trascorso due settimane in uno stato semi-onirico di agitazione, e ogni giorno a fine puntata mi si svuotava l’intestino per la tensione; da tenerne conto, se in vecchiaia dovessi iniziare ad avere problemi di intestino pigro.
Alla quinta settimana gli anestetici erano finiti e sono rientrata al lavoro. Spaesamento, fatica fisica, la stessa disorganizzazione cronica che avevo lasciato, relazioni umane complesse fra colleghi stupendi e colleghi iene che ti pugnalano col sorriso. E immersa in quella complessità, chi l’avrebbe mai detto, fin dal primo giorno ho iniziato a provare fitte di nostalgia per i demogorgoni, specialmente per la versione demo-cani della seconda serie – fan quasi tenerezza. Mi è sembrato che perfino un demogorgone fosse una creatura onesta e apprezzabile, con la quale si può discutere, al confronto di certi colleghi paraculi che occultano la propria disorganizzazione attribuendo tutti i problemi agli altri reparti. Da domani inizierò la terza serie, magari anche solo una puntata a settimana, e mi struggerò dalla nostalgia.