Paternità 1

Beh anche io voglio fare un po’ il profondo-melenso e dichiarare al mondo (si fa per dire) il mio vissuto di padre. Copio l’impostazione della moglie, che non ho voglia di inventarmene un’altra:
1) essere padri vuol dire spupazzarsi questa simpatica pallina, la sera quando torni dal lavoro e poi nel weekend. La mamma della pallina per fortuna ha la schiena a pezzi e le braccia morte a forza di tenerla in braccio, e te la passa appena può che preferisce stendere la biancheria; il papà raccoglie volentieri la pallina fra le sue braccia possenti, e la culla ripetendole allo sfinimento “Su dai non ti preoccupare che c’è papà”, anche se il pupo piange uguale o è tranquillo per i casi suoi.
2) essere padri vuol dire non sapere come tranquillizzare il pupo quando piange, e proporre a macchinetta “mettiamolo in culla” o “mettiamolo con noi nel lettone”, anche se la moglie insiste – a ragione – che tali azioni farebbero ulteriormente imbufalire la creatura.
3) essere padri vuol dire sperare che il pupo sia sempre in procinto di addormentarsi, o cercare (inutilmente) di addormentarlo, ogni volta che la moglie te lo affida.
4) ma soprattutto, essere padri significa più prosaicamente: lavare i piatti la sera, star dietro alla pattumiera e portar giù i pannolini il giorno che si ritira il secco, ogni sera preparare la cucina per la colazione, andare a far la spesa di sabato.
A quanto sopra resta da fare l’ovvia chiosa: E’ TANTO CARINO QUANDO DORME!